Ecomuseo Fucina dei Mestoli di Sparone (TO)

CATEGORIA Architettura
Terziario
TIPOLOGIA Turismo
Restauro
PROGETTO Antica Fucina dei Mestoli di Sparone (TO)
COMMITTENTE Comune di Sparone (TO)
LUOGO Sparone (TO)
ANNO 2019 - 2020
SUPERFICIE100 mq
STATO completato

Nel nucleo storico di Sparone, alle spalle del Parrocchiale di San Giacomo, Sertec viene incaricata dal Comune di riaprire finalmente le porte di una preziosa testimonianza dell’antica lavorazione del rame: l’antica Fucina dei Mestoli.

L’ex opificio, chiuso da decenni, ha mantenuto sostanzialmente intatta la sua architettura storica, composta di due polverosi locali con volta a botte, al piano terra di un umile fabbricato abitativo del XVI secolo. Il pavimento è in lastricato di pietra e in terra battuta, i muri e le volte sono tutti in pietrame, fuligginoso, intonacato al grezzo; a lato dei due locali insiste un tipico passaggio coperto, con volta a botte, che permette l’accesso al cortile interno di pertinenza.

Il fascino che pervade la fucina non si limita alla sua architettura storica “immacolata” ma si estende al suo allestimento interno. Difatti, il segreto straordinario che accudisce orgogliosamente l’ex opificio è la ricca collezione di utensili e macchinari originali, alcuni risalenti addirittura al sec. XVI.

Grazie al suo interessante allestimento, alla sua particolare tipologia architettonica e alla sua ubicazione nel centro storico, la Fucina dei Mestoli, vincolata dalla Soprintendenza ai sensi degli artt. 10, 12 del D.lgs. 42/2004, ben si presta a un utilizzo a favore della collettività per lo sviluppo di un piccolo ecomuseo. Un nuovo polo culturale per l’esposizione permanente di sapere materiale e lavorazioni tipiche locali, che mira alla tutela e alla valorizzazione della rete dei beni culturali “minori” diffusi negli abitati della Valle Orco.

Il progetto, firmato Sertec, prevede la realizzazione di opere volte a preservare l’architettura storica, restaurare gli utensili – con il supporto del restauratore eporediese Mauro Barolat Luisa –, e allo stesso tempo adeguare l’edificio alla nuova funzione, quale nuovo ecomuseo comunale, quindi migliorare la fruibilità dei suoi spazi.

Data la complessità dell’allestimento esistente e vista l’irregolarità degli elementi edilizi (volte, pareti, pavimenti, serramenti) si è reso molto utile, ai fini di un esatto rilievo architettonico e una miglior catalogazione dei beni –coordinata dal Dipartimento di Studi storici dell’Università di Torino – eseguire un rilievo con tecnologia laser scanner.


N.B. Le immagini di presentazione mostrano in ordine: la Fucina dei Mestoli ante operam; elaborazioni grafiche della nuvola di punti rilevata mediante laser scanner in fase di progettazione; la Fucina post operam.


NOTE STORICHE:

A monte del centro storico di Sparone, dalla località Sommavilla e fino alla parte bassa del paese, in prossimità del corso della cosiddetta “Roggia delle Fucine” o “Roggia del Mulino”, già dal 1500 erano attivi alcuni mulini per la macina dei cereali e diverse fucine per la lavorazione del rame, laboratori artigianali che hanno continuato la loro opera nei secoli.

All’interno delle pareti fuligginose delle fucine di Sparone, le forge venivano attivate da lunghi e sinuosi condotti d’aria formata dalla caduta dell’acqua, la cosiddetta “tromba idroeolica”, dove nella “tina”, per la caduta verticale dell’acqua, si formava l’aria utilizzata per fomentare i carboni ardenti. Lo spettacolo diventava unico: il rame fuso nei crogiuoli vestiva un colore rosso, cinto da infinità di scintille; quindi con un grosso mestolo lo si versava in tante coppelle di terra refrattaria. Il “magnin” o ramaio, pronto, cospargeva di sabbia le formelle e appena solidificate le passava al compare, accovacciato accanto al maglio a “testa d’asino” con i piedi avvolti da stracci imbibiti di acqua mescolata a terra refrattaria per eludere il calore. Allora il calderaio azionava il maglio a “testa d’asino”, dando libero sfogo alle acque della roggia derivanti dal vicino torrente Ribordone. Il maglio, portentosa ed enigmatica macchina empirica, colpiva a intermittenza il terreno con la sua testa appuntita ed il “magnin”, munito di pinzacce, faceva ruotare il pezzo ancora caldo, dandogli la forma voluta. I manufatti, ridotti a un certo spessore, erano poi ribattuti a vari fogli insieme per venire a formare i pezzi grezzi, che attraverso le ingegnose mani dei battitori si trasformavano in pregiati lavori a sbalzo.

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